La voglia di Dolomiti è sempre forte, ed è così che nelle bollenti giornate di fine agosto cerco con la mente refrigerio lassù, là dove non ho mai messo piede, sulla cima più alta, sulla Regina.
Punta Penia, con i suoi 3343 metri, domina le Dolomiti, una cima dal fascino indescrivibile, una cima sulla quale solo la fatica ti può portare.
La Marmolada… Punta Serauta raggiunta dalla funivia, come Punta Rocca, lei no, inavvicinabile, solo le gambe ti possono portare lassù, solo lo sforzo tra i denti stretti ti può portare a dominare tutto dall’alto!
Così passano 37 lunghissimi anni, ad ammirare con profondo rispetto chi quella montagna la vive, chi lassù trova quella pace interiore che solo nella solitudine di lunghe giornate di freddo sole e neve, accompagnato da cornacchie irriverenti ma amiche in quella immensa vastità di vuoti, ti fa andare avanti.
Non lo so il perché in tutti questi anni di sentieri, ferrate, mulattiere e boschi non l’abbia mai affrontata, forse il timore del ghiaccio, forse nella mia mente l’ho sempre accostata a persone uniche, gente di montagna, vera montagna quale io in realtà nonostante tutto non mi sono mai pienamente sentito, non lo so, sta di fatto che Punta Penia non l’ho mai presa seriamente in considerazione come una mia meta prossima, chissà, forse magari un giorno sarò pronto, chissà, ho sempre pensato…
Poi ti scatta qualcosa dentro e mentre il mondo piange una tragedia di montagna, luglio 2022, mentre la gente si riempie la bocca di parabole montane senza mai aver provato il “timore” della montagna, quel velo di paura e rispetto per il luogo che solo chi è abituato ad andare lassù conosce, mentre la gente corre a farsi dei selfie con il seracco alle spalle, mentre lassù esiste qualcuno che quella montagna la conosce e la rispetta, decido che è arrivato il momento di andare a conoscere quel qualcuno, quell’eroe, nel mio immaginario che sa apprezzare l’alba e il tramonto, il caldo e il freddo, da solo, lassù, sull’ultimo spalto di roccia, ultima fermata prima del cielo delle Dolomiti.
Ed è così che senza pensarci troppo io e Fabio partiamo carichi come non mai e pronti per affrontare quella salita.
Il ritmo alle 6 del mattino in direzione Rifugio Contrin è da subito importante. In breve tempo, mentre la luce prende il sopravvento, il primo salto di quota è fatto e davanti ai nostri occhi una meritata fetta di strudel ci ricarica a dovere in vista della salita a Forcella Marmolada.
La salita alla forcella è tosta, non lascia spazio a indecisioni e ripensamenti. Tutta la concentrazione serve ai muscoli per salire… pulsazioni a mille, sudore e fatica ci accompagnano in forcella, il ghiaione dietro le spalle ormai è un ricordo, il più è fatto, finalmente ci si attacca al ferro.
L’aria rarefatta appesantisce ancora di più il passo, ma la cima si avvicina e dopo poco più di 5 ore davanti ai nostri occhi solo piccoli sassi e una croce lassù, ma vicina, ad indicarci che lo sforzo ormai era finito.
Davanti a Capanna Punta Penia ad aspettarci c’era lui, il custode di quel nido d’aquila, seduto sorridente all’esterno del rifugio ci saluta e ci dà il benvenuto.
Cosa dire, finalmente ero lassù, non so descrivere quell’emozione, quegli istanti, da troppo tempo aspettavo quel momento, ricordo solamente di essermi congratulato con Fabio, mai prima nella sua recente storia di trekking aveva affrontato un dislivello simile e di aver ordinato una birra.
Ero felice, sì, mi sentivo parte di coloro che anni prima vedevo così lontani, veri uomini di montagna, mi sentivo tutto ad un tratto custode di un privilegio che va meritato, va capito, rispettato.
Sono passate ore lente, di riflessione, i miei occhi correvano ovunque, uno spettacolo a 360 gradi immenso, una croce di vetta, anzi, la croce di vetta, quella della Regina davanti a me, il silenzio, tanto silenzio, lontano da tutto, lontano dall’ipocrisia sottostante, lontano, lassù.
In quel lasso di tempo ho più volte immaginato la serata, quando anche gli ultimi avventori sarebbero rientrati a valle e lassù in quello spalto roccioso solo noi.
Ho pensato che sicuramente sarebbero arrivate persone interessanti, camminatori, amanti della montagna veri, quelli che ammiravo in passato.
Ho pensato a cosa ci saremmo detti.
Ho pensato a come ci saremmo presentati.
Ho pensato se mi sarei sentito diverso, fuori luogo.
Ho pensato se meritavo questo spazio tempo così importante… ho pensato…
Ho pensato a tutto, in silenzio guardando lontano, immagini, ricordi ed emozioni.
Mi sono commosso, sì, l’ho fatto, seduto dalla croce.
Poi all’improvviso ero seduto a tavola con 10 amici, tutti i pensieri “inadeguati” del pomeriggio si sono dissolti in un istante. Ho guardato Fabio rilassato da quella situazione nuova, eravamo 11 persone più Carlo, unite in quella camera, riscaldate da zuppa di gulasch e polenta, riscaldate dalla gioia di condividere quell’emozione.
Difficile, molto difficile da descrivere, un bel gruppo, tante storie diverse, luoghi diversi, vite, età, tutto… siamo stati come amici di vecchia data quando si ritrovano dopo tanti anni, sì, davvero un bel gruppo…
Non so se sia sempre così lassù, mi piace pensare di sì, anche se la razionalità mi rimanda con i piedi per terra e preferisco non indagare, ma quel giorno, quella sera e quella mattina ho avuto il piacere di condividere quel posto con belle persone…
Ecco, belle persone, un aggettivo che racchiude tutto.
La serata passa veloce, il tramonto violentato dalle nuvole non ci toglie di certo la magia, la luce si fa flebile fuori dalle finestre e dopo aver visto le stelle, è ora di farsi cullare a letto.
Mi sembrava di essere nel letto più bello del mondo, avvolto dal cuscino e dal piumone ho pure dimenticato qualche disavventura notturna, maledetta cervicale…
L’alba è unica lassù e tutti insieme nel freddo di quelle ore, tra nuvole basse svaporate sulle cime, abbiamo ancora una volta ammirato lo spettacolo della natura dalla cima della Regina.
La colazione è quasi malinconica, le torte di Carlo sono favolose e ci rasserenano per un attimo quell’angoscia del dover andare, del doverci salutare, del dover salutare il nostro “eroe”, lui, che custode di quell’angolo di mondo, sapientemente ci regala la gioia di poterlo vivere.
A turno, dopo il rito delle foto, partiamo a gruppi come siamo arrivati, ma no, evidentemente la magia di quelle ore non poteva finire così, nonostante il giorno precedente avessi visto scendere alla spicciolata e distanziate le persone che erano lassù, noi dopo pochi minuti ci ritroviamo insieme, in perfetta colonna, un gruppo unico che in tacito accordo decide che quell’avventura sarebbe finita insieme.
Così si scende, e quella magia ci accompagna sulla roccia, poi nel ghiaione, sui prati e le sue marmotte fino ai boschi e giù a valle.
Che dire, i dati tecnici di questo trekking lasciano spazio alle sole emozioni, ovviamente la Marmolada è alta quindi in merito c’è poco da aggiungere, mentre ciò che mi lascia questa avventura è speciale, molto speciale, forse unica nel suo genere…
Grazie Fabio di averci provato a starmi dietro, grazie a quelle persone che magicamente si sono trovate in sintonia lassù.
Vorrei salutarvi tutti per nome mentre scrivo questo resoconto, ma preferisco chiamarlo “25/08 gruppo Punta Penia”.
Grazie ancora…
Alla prossima ragazzi.