Dolomiti – Sasso Lungo e La Civetta e Lago Antermoia”

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Emiliano Ferraguti

Ricordi d’infanzia nella Val Gardena

Ricordo ancora come se fosse adesso il profumo dei pascoli fioriti della Val Gardena, avevo poco più di 4 anni quando si andava a trovare la nonna in montagna, strana cosa la montagna per un bambino di pianura, abituato a non vedere un confine definito, bensì quell’infinito riflesso del giorno che si perde dietro l’ultimo albero della campagna.

La Montagna come Culla Naturale

Invece in montagna no, la percezione del presente è più evidente, spazi ben delimitati e profumi marcati fanno di quei luoghi, per me, una culla naturale.

Le Prime Scoperte e Ispirazioni

Già da bambino affascinato dai racconti di mio papà le immaginavo così belle ed eleganti, slanciate verso il cielo là dove solo le nuvole possono arrivare.

Quello è il Sasso lungo e quello la Civetta, mia mamma diceva, loro due, papà e mamma erano per me ciceroni, e solo il fatto che potessero dare un nome a quelle cime così inavvicinabili li rendeva al mio sguardo ancora più mistici, forse sì, l’amore che oggi provo per quei fantastici luoghi è il frutto del sapiente insegnamento dei miei cari, che, anche loro provati delle ombre lunghe della pianura, sentivano costantemente il richiamo di quei posti incantati.

Il Richiamo delle Dolomiti

Passarono anni poi, tra quei primi incontri con le Dolomiti e la mia reale permanenza, seppur vacanziera tra quei monti, anni di pianura, dove le radici mi ricordano di essere pure fango, fango attaccaticcio tipico delle nostre parti, dove pure il confine tra mare e terra in epoche poi non così lontane era indefinito. Terra di sapori vecchi, dove il tempo si è fermato, dove il treno dello sviluppo sembra essersi perso nella nebbia, e non essere mai arrivato, terra di fatica, di mani sudate e visi scavati dal freddo, durante le lunghe potature invernali, terra e vita un tutt’uno inscindibile che fanno di questo territorio quasi un romanzo di altri tempi.

Anni in cui il mio sguardo si perdeva costantemente nelle lunghe ombre della sera, alla ricerca, forse disperata, delle montagne.

Le Prime Esperienze in Montagna

Fu amore a prima vista, ero come una spugna, assorbo tutto, tutti i profumi, tutti i colori e tutti i nomi delle montagne, per me non esisteva la fatica, la mia curiosità era talmente grande da portare sempre più avanti, un po’ più in là, per vedere, abituato all’infinito della pianura, ancora più in là, oltre quel monte, oltre quella sella, oltre.

Dopo aver assaporato nell’anno precedente l’emozione della montagna con gli amici, qualche medio trekking alla portata di tutti, decido che in quell’agosto saremmo tornati sulle Dolomiti alla scoperta del Catinaccio e soprattutto avremmo per la prima volta dormito come veri fratelli in un rifugio.

L’Avventura Dolomitica

Ha inizio così la storia delle nostre estive Dolomitiche, una goliardata di gioventù che metteva insieme in una qualche maniera assortiti 2 ragazzi io e Ale già da tempo innamorati di quei luoghi della Val di Fassa, Zum amante e professionista delle discipline invernali, Gewon e Bugno veri ragazzi di pianura…

Visti i presupposti viene facile capire che la sveglia della mattina seguente alla serata di festa non sia stata delle migliori, infatti la partenza viene ripetutamente posticipata fino alle 10 di mattina.

Lasciata la macchina a Muncion sopra Pera di fassa, deciso che avremmo raggiunto il rif Vajolet seguendo la strada asfaltata fino al Gardeccia per poi seguire il classico itinerario, tra i più famosi al mondo che porta dritto sotto le torri per poi lasciare al caso il luogo del ristoro e soprattutto del pernottamento notturno.

Pronti via la situazione si fa subito delicata, i postumi della serata precedente mettono a dura prova dopo solo un’oretta di cammino da prima Zum, al limite del collasso e poi Bugno, sbiancato come un giglio alla visione della salita che ci aspettava. Nonostante tutto con passo pesante e cuore in gola, maledicendo il peso degli zaini rigorosamente sui 13-18 kg, sotto un sole cocente, risaliamo la gola che ci porta al rifugio Vajolet e arriviamo finalmente al primo obiettivo passata di poco l’ora di pranzo. Decidiamo quindi che fosse doveroso trovare un punto dove fermarci, magari un punto a monte del sentiero su di una roccia a dominare la mulattiera e fu come per incanto che lasciatoci alle spalle il rifugio troviamo sulla nostra sinistra una roccia, poi nominata “roccia fredda” dove montare una pseudo tenda, accendere il fornello e cuocere delle salsicce in padella.

Ci ristoriamo, parliamo, dormiamo parliamo e intanto ci stavamo innamorando inconsapevolmente della montagna, dell’andare insieme in montagna, nel condividere quelle emozioni, quei panorami e quegli sforzi, i profumi i colori e tutti quei discorsi che solo in quei momenti si possono fare, fu insomma un colpo di fulmine che ci rapì e che ad oggi non ci ha ancora abbandonato.

Il Battesimo della Montagna

Dopo questa lunghissima sosta, decidiamo, inconsapevoli che nei rifugi ad agosto fosse doveroso prenotare, di incamminarci e di affrontare la salita che porta la su, al passo principe e all’omonimo rifugio, che a me ed ad Ale piaceva da tempo tantissimo. Arrivati in condizioni disperate alle 6 del pomeriggio ai 2606 metri del rifugio già pregustavo una birra quando il proprietario, vedendoci veramente impreparati e novelli, per prenderci in giro ci dice pensieroso che il rifugio era tutto pieno, tra di noi naturalmente cala il silenzio, interrotto solamente un attimo dopo dalla voce dell’alpino proprietario che ridendo ci faceva cenno di accomodarmi e che quel giorno eravamo davvero stati molto fortunati a trovare posto.

Ecco, finalmente mettevamo per la prima volta gli zaini in una cameretta in legno in un rifugio, il nostro piccolo sogno si era avverato, lo ricordo ancora come fosse adesso lo stabile che ad oggi è stato ampliato, allora era veramente piccolo e ancorato alla roccia con un cavo di metallo, all’interno una sala dove mangiare adiacente alla piccola cucina, una scala ripida e stretta con all’inizio un piccolo bagno con solo lavandino e servizio igienico, ricordo molto bene anche l’acqua rigorosamente ghiacciata, salita la scala due piccole stanze con finestre invisibili lasciavano spazio a massimo 8 persone. Noi in quel luogo così lontano dalle luci della pianura e così vicino al cielo ci siamo fatti cullare, abbiamo ascoltato il tramonto, abbiamo cenato come in famiglia, abbiamo cantato e bevuto ben oltre allo spegnimento del generatore e quando le tenebre hanno veramente fatto capolino sulle nostre teste, abbiamo come fratelli ascoltato in silenzio il rumore delle stelle!

Eccole le sensazioni che ho provato quella notte, insomma, è stato amore, e credo che lo sia stato anche per gli altri.

La mattina seguente ormai estasiati e innamorati di quei luoghi, dopo la colazione ci siamo incamminati verso la vetta dell’Antermoia, per poi ridiscendere all’omonimo lago, lungo nevai ripidissimi per arrivare poi al rifugio!

Come non poter ricordare il bagno nel lago semi ghiacciato a 2800 metri, una libidine al limite dell’ipotermia, beata gioventù.

Contenti, esaltati, meravigliati abbiamo camminato fino giù a valle, abbiamo ricordato come ricordano i bambini delle loro partite di pallone, ci siamo compiaciuti della nostra piccola ma per noi immensa avventura e soprattutto abbiamo capito quanto quel mondo incantato e quel modo di vivere la montagna ormai ci appartenesse e ci piacesse, tanto che a distanza di parecchi anni quel ricordo per noi sarà sempre “roccia fredda” e il battesimo della montagna.